I COMPLIMENTI DI TORO RINALDI A MAESTRI
Toro Rinaldi: “Complimenti a Maestri. Ma io nel ’65 giocai contro Mantle e Maris”
L’articolo di Maurizio Roveri.
In principio fu Toro Rinaldi. Il primo italiano a giocare in America. Una stagione a Tampa, nel Singolo A dei Cincinnati Reds. Era il 1965. Alberto Toro Rinaldi aveva 18 anni e già da due anni indossava la casacca azzurra della Nazionale italiana. Titolare nel ruolo di interbase.
Facciamo un passo indietro: 1964, c’era da preparare un Campionato Europeo in programma a Milano e l’Italia scelse come ritiro per la preparazione una base americana in Germania. In quell’occasione si aggregò al gruppo azzurro un tale Reno De Benedetti, che lavorava come scout per l’Organizzazione dei Cincinnati Reds. Notò quel ragazzetto pieno di talento, armonioso, dai movimenti rapidi ed eleganti. Cominciò un corteggiamento, gli diede una mano nella preparazione, fu prodigo di consigli e di indicazioni. Al rientro in Italia, alla vigilia della sfida milanese con l’Olanda, De Benedetti prese da parte Toro Rinaldi in albergo e gli parlò dell’America e di una grande opportunità che si sarebbe potuta realizzare nella primavera successiva: lo spring training con Cincinnati Reds e il campionato in Singolo A con la squadra di Tampa.
Immaginatevi lo stupore di un ragazzo – allora diciassettenne – che veniva dall’Oca una zona popolare della prima periferia di Bologna e che sentiva parlare dell’America: un mondo che per il giovanissimo Toro Rinaldi sapeva di fantasia, di sogno, d’immaginazione.
E che gli appariva così lontano, così enorme, così indefinibile. Tutto questo è comprensibile: pensiamo all’età di Alberto Toro Rinaldi e soprattutto al periodo, metà anni sessanta. Ci sarebbe voluto anche il permesso dei genitori per tuffarsi in quell’avventura, perché il ragazzo non era ancora maggiorenne. Ma Alberto Toro Rinaldi, nato per giocare a baseball, era talmente eccitato da quella straordinaria opportunità che convinse tranquillamente i genitori. Lo sport della mazza e del guantone era già la sua vita.
Ci giocava fin da bimbetto. Perché il campo dove si allenavano le Fiamme Oro era proprio sotto casa sua. All’epoca i migliori giocatori italiani che dovevano fare il servizio militare li trasferivano lì, alle Fiamme Oro di Bologna. Il piccolo Toro Rinaldi era la loro mascotte. Alberto non ha mai giocato con i pari età. Lui scendeva giù dalla finestra di casa ed era già in terza base. Nell’angolo caldo, perché così voleva il destino (col tempo infatti quella è diventata a sua posizione e l’interpretazione che “Toro” ha dato di questo ruolo rimane ancor oggi qualcosa di sublime). Alberto Toro Rinaldi giocava con i “grandi”, osservava attentamente i movimenti dei campioni più affermati e li imitava, muovendosi anche meglio, con una naturalezza e un istinto straordinari. Furono queste doti che lo portarono in America.
Il volo Pan Am, nel febbraio del ’65. Dall’Oca (quartiere bolognese, fuori Porta Lame) alla Florida. L’impatto con un mondo che prima di quel momento viveva soltanto nella sua fantasia. Toro Rinaldi seppe destreggiarsi più che decorosamente. Fece un solo anno, già era arrivato lì con un permesso speciale del Ministero poiché doveva ancora prestare servizio militare e quel permesso scadeva a settembre. Comunque imparò a velocizzare ulteriormente il suo gioco, imparò ad aggredire la pallina e la sua difesa divenne spettacolo quando tornò ad essere protagonista nel campionato italiano (tre stagioni a Parma, poi di nuovo la sua Bologna, la Fortitudo targata Amaro Montenegro).
Oggi Alberto “Toro” Rinaldi ha sessant’anni, portati benissimo. E’ in gran forma, ha una professione importante che lo tiene anche lontano da Bologna, però è sempre profondamente innamorato del vecchio meraviglioso gioco del baseball.
Gli raccontiamo di Alessandro Maestri, un talento di oggi che sta inseguendo il sogno americano. E della clamorosa convocazione in Major League del ragazzo di Torre Pedrera, seppure da backup per una partita di spring training. Un fatto storico per il baseball italiano.
Rinaldi è felice per il ventiduenne pitcher romagnolo. “Sono contento per lui, vuol dire che sta lavorando bene e che i Chicago Cubs lo seguono attentamente. Gli faccio un sincero “in bocca al lupo” per la carriera. Ci sono anche altri ragazzi italiani in America. Bene, è un’immagine positiva per il nostro baseball”.
Nessuna gelosia da parte di Toro. A lui non è capitato di venire convocato per una partita nella squadra di Major. Però… sentite un po’ quel che racconta. “Io, nel campionato della Florida, quando si facevano delle partite di allenamento allo spring training, ho giocato contro Mickey Mantle e Roger Maris. Scusa se è poco…”.
Sorride, Toro. Come a voler sottolineare, pur senza darsi arie, che questo è un qualcosa di più grosso ancora. Bè, di sicuro. Roba da far venire i brividi anche a parlarne adesso. Lui, il pivellino, impegnato contro due leggende del baseball e dei New York Yankees in particolare.
“Durante lo spring training succede che due squadre, vicine nei loro camp di preparazione, si organizzino per fare delle partite di allenamento. E in queste partite vengono messi dentro anche i ragazzi delle Minors. Noi dei Cincinnati Reds ci trovammo a raffrontarci con gli Yankees. Così, a me è capitato di vedere da vicino due miti come Maris e Mantle, di giocarci contro. Ad allenare gli Yankees c’era Yogi Berra. La cosa buffa è che non me ne rendevo conto, in quel momento. Eravamo a metà anni sessanta, non c’era internet, io ero un ragazzetto che veniva dall’Oca, arrivavo in America senza sapere quasi nulla della Major League. Mi sono reso conto dopo, con gli anni, che personaggi erano! Ero stato in campo con Mantle e Berra. Incredibile”.
Talmente grandi e popolari, Mickey Mantle (un uomo capace d’una potenza terrificante con la mazza in pugno, ha fabbricato dei fuoricampo da 190 metri) e Roger Maris, che a questi due personaggi leggendari è stato dedicato un film. Si chiama 61, è una pellicola diretta abilmente da un ottimo Billy Cristal nel 2001.
Ambientato nella New York del 1961, il film racconta l’incredibile stagione di Maris e di Mantle due Yankees impegnati in una esasperante sfida… in famiglia per tentare di battere il record dei fuoricampo in una stagione che Babe Ruth deteneva dal 1927. Interpretato da Barry Pepper e da Thomas Jane, “61” fa rivivere con grande efficacia l’amicizia e la rivalità fra questi due strepitosi battitori compagni di squadra, le tensioni, la pressione, l’eccitazione, il contrasto fra i fans che tifavano per Mantle e i giocatori che stavano dalla parte di Maris. Un’appassionante competizione che infiammò New York. Il film si chiama 61 perché fu Roger Maris che con il suo fuoricampo stagionale numero 61 stabilì il nuovo record.
Ma torniamo a Rinaldi.
Toro può raccontare con fierezza d’essere stato compagno di squadra, in quello spring training del 1965, di Pete Rose il campione tutto temperamento e muscoli dei Reds, la bandiera di Cincinnati, personaggio orgoglioso, duro, istintivo, passionale, un guerriero dei diamanti.