Al Corriere: «Jannacci? L’ho conosciuto in ospedale quando venni operato di appendicite a 12 anni. Faceva il medico lì, mi visitò, ma dormivo»
L’articolo uscito sul Napolista.
Il Corriere della Sera intervista Stefano Belisari, in arte Elio, voce di Elio e le Storie tese. Ha appena pubblicato un libro sul baseball. Si intitola “Lo chiamavano Maesutori”, è edito da Baldini+Castoldi e racconta la storia del suo coautore Alessandro Maestri, unico italiano ad aver giocato nel campionato giapponese. Racconta come si è avvicinato al baseball.
«A metà anni 70, abitavo alla periferia di Milano, ero ragazzo, stavo fuori casa tutto il giorno a giocare a pallone. Poi, un giorno, sono sceso e stavano facendo baseball. Fu una fase e finì presto. Quindi, nel 1988, Faso, il bassista delle Storie Tese, che odiava il calcio, propose di scegliere uno sport da fare con tutti gli amici. Abbiamo iniziato al Parco Lambro quando era pieno di tossicodipendenti. Coi guantoni da sci invece del guanto vero, coi bastoni al posto delle mazze. Poi, sono arrivati gli attrezzi giusti e ci siamo detti “andiamo in un campo”, ma per farlo dovevamo iscriverci al campionato e siamo stati obbligati a fare il campionato. Abbiamo perso il primo incontro 44 a 2. Abbiamo trovato un allenatore e, insomma, è nata la Ares, arrivata pure in A2, di cui sono ancora vicepresidente».
«È uno sport che mi somiglia perché non si prende mai sul serio».
Elio racconta il suo primo incontro con Enzo Jannacci, che definisce «un genio».
«L’ho conosciuto nell’ospedale dove venni operato di appendicite a 12 anni. Faceva il medico lì, mi visitò, ma dormivo».
C’è spazio anche per la fondazione di Elio e le Storie Tese, ai tempi del liceo.
«Mi estromisero da una band e mi arrabbiai così tanto che mi dissi: faccio il mio gruppo. Il nome arriva dopo. Lo inventai con un compagno di Ingegneria, cercando un nome orrendo».
Perché una laurea in Ingegneria?
«Gli ingegneri sono menti aperte, hanno fatto tutto ciò che vede attorno a noi. E io non avevo la percezione che la musica potesse essere altro che un modo per stare con gli amici, sfogare le mie attitudini. Mi sono licenziato da impiegato della rete interbancaria solo col secondo disco».
Dice di aver ben presente il concetto di morte da quando aveva 15 anni.
«Una delle mie fortune è che, dai 15 o 16 anni, ho ben presente che la morte esiste e questo è il motivo per cui ho fatto tante cose che sembrano strane. Credo di essere stato una delle prime vittime di attacchi di panico quando nessuno sapeva cosa fossero. Pensavano che avessi mal di cuore o altri mali gravi. Mi sono detto: o muoio o vivo in modo degno. Per fortuna, non sono morto».
Sul primo album del gruppo, dal titolo impronunciabile:
«Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu. Erano parolacce in cingalese. Avevamo un successo incredibile ovunque suonassimo, ma per dieci anni nessuno aveva voluto farci fare un disco. Anche quello lo rifiutarono tutti, anche insultandoci, tranne la Cbs».
Dentro c’era anche una canzone sul pornoattore John Holmes.
«L’appassionato di porno è Rocco Tanica. Sul tema, è un’enciclopedia. Attraverso di lui, per un po’, ci siamo tutti appassionati alle trame hard. Forti del successo della Terra dei Cachi, invece di monetizzare come tutti, noi cialtroni che non avevamo un disco pronto abbiamo fatto pure un porno con Rocco Siffredi. Ponemmo come condizione che non ci saremmo tolti neanche una calza. La scena più bella non è stata ripresa: ce la stavamo svignando alla chetichella da un’orgia; Rocco, che stava lavorando con un’attrice, la solleva, l’appoggia per terra, e viene a salutarci. Nudo. Perché è un gentiluomo».