L’articolo di Carlo Ravegnani per il Corriere.
Metti assieme Alessandro Maestri, per anni il miglior lanciatore italiano di baseball, e Stefano Belisari, per tutti Elio delle “storie tese”, un grande appassionato di batti e corri ed ecco che viene fuori una piacevole pubblicazione pre-natalizia. Il libro scritto a quattro mani ha come titolo “Mi chiamavano Maesutori” con un sottotitolo… Il baseball e la vita. Dalla Romagna al Giappone passando per gli Usa” edito da Baldini-Castoldi.
Alessandro, cosa leggeremo nel libro che è uscito ieri in tutte le librerie?
«Racconta la mia vita sportiva e il viaggio che ho intrapreso nella mia carriera, più in generale tutto quello che c’è attorno al baseball giocato. Io ho scritto la mia parte, diciamo a livello agonistico, mentre Elio interviene in vari momenti del libro: spiega le regole del gioco, racconta i suoi aneddoti in modo esilarante, soprattutto nel periodo in cui è stato anche lui in Giappone».
Già, il Giappone, il momento più esaltante della carriera di Maestri (da qui il titolo del libro con il cognome “storpiato” dai giapponesi). Quanto le manca quel mondo, quel periodo?
«Mi manca parecchio e non solo per l’aspetto agonistico. Un paese con usi e costumi particolari, mi sono subito affezionato e mi manca il mangiare giapponese. Mi mancano quei momenti in cui salivo sul monte di lancio in un campionato dal livello altissimo, sentivo tantissimo la competizione, più di quando ho lanciato in Italia, anche perché mi piaceva avere quella responsabilità di rappresentare il nostro paese all’estero».
Come nasce l’idea di scrivere il libro?
«Quando tornai dal mio primo anno negli Stati Uniti feci una telecronaca di baseball su Sky e fu l’occasione per conoscere Elio. Da quel momento ci siamo tenuti in contatto, lui si informava sul prosieguo della mia carriera, mi mandava messaggi di complimenti quando facevo belle partite. Un giorno mi rimediò un paio di biglietti per vedere una partita dell’Inter a San Siro e per ricambiare gli portai la mia casacca del Classic quando fece il concerto di capodanno a Rimini nel 2013. A parte il fatto che rimase sul palco tutta la serata con quella maglia, cominciammo a parlare, anche con Faso, delle nostre rispettive esperienze giapponesi. Quindi ci è venuta l’idea del libro e il tanto tempo che purtroppo avevamo a disposizione durante il lockdown ha fatto il resto. Per me è stato bellissimo, perché mentre scrivevo, era come se vivessi per una seconda volta quei sentimenti e quelle sensazioni che ho provato dal vivo».
Maestri ha annunciato il ritiro, ma qualcuno vorrebbe rivederla sul monte con l’Italia al World Baseball Classic 2023. Impossibile?
«Ogni tanto mi passa per la testa di tornare in campo, ma sono coerente, la decisione è stata presa».
Anche perché per giocare un Classic, bisogna essere al top e i giocatori italiani in grado di competere a quei livelli sono pochissimi: come si ovvia a questo problema?
«Secondo me tutto è nato quando è stata chiusa l’Accademia federale di Tirrenia, da lì sono usciti giocatori importanti, è stato esaltato il talento del singolo. Ora ci sono le varie Accademie regionali, stanno lavorando bene e sono dell’idea che la crescita dei giovani passa anche da allenamenti specifici».
Da consigliere federale e da viserbese, come vede quest’anno due squadre di Rimini in serie A?
«Meglio due di nessuna, è la conferma che nella nostra zona si è sempre lavorato bene e a nessuno è stato regalato niente. Ora manca la ciliegina sulla torta, cioè che Falcons e New Rimini possano giocare entrambe allo Stadio dei Pirati».
Chiusura con una battuta: le è venuto in mente che il 2021 è stato l’anno delle ex squadre di Maestri?
«Ah è vero, San Marino ha vinto lo scudetto dopo otto anni, gli Orix (giapponesi, ndr) sono tornati in finale, i Falcons hanno conquistato la prima promozione in serie A. E se vogliamo dirla tutta, dopo che sono andato via io, i Chicago Cubs hanno vinto le World Series dopo 71 anni».